Violenza sulle donne, nessuna tutela occupazionale per le vittime
Nessuna tutela lavorativa per le donne vittime di violenza, a dispetto della legge ad hoc approvata quest’anno. A lanciare l’allarme è Orietta Olivo, responsabile lavoro, welfare e pari opportunità della Cgil Fvg, che denuncia la mancata applicazione del decreto legge 80/2015, approvato quest’anno dal Governo, in base al quale dovrebbe essere riconosciuta un’aspettativa trimestrale alle donne inserite in un percorso di protezione individuale contro episodi di violenza privata. «L’importante obiettivo che si prefigge la norma – spiega Olivo – è quello di sostenere le donne vittime di violenza non soltanto in termini di sicurezza individuale, ma anche sotto il profilo dell’indipendenza economica, riconoscendo loro il diritto a tre mesi di astensione retribuita dal lavoro. Ma è un diritto che resta sulla carta: l’Inps nazionale, infatti, non ha ancora approvato la circolare applicativa. Il fatto, già grave in sé, lo è ancora di più se consideriamo che si tratta di una norma sperimentale, in vigore fino al 31 dicembre 2015».
La denuncia arriva alla vigilia del 25 novembre, Giornata internazionale contro la violenza sulle donne. E non è un caso se la Cgil punta il dito sull’attuazione del decreto 80: «Non si tratta – dichiara ancora Olivo – di un aspetto marginale, perché l’esposizione alla violenza è legata anche alle condizioni occupazionali ed economiche, che sono peggiorate con la crisi. E’ evidente infatti che la mancanza di un lavoro e di un reddito impedisce di recidere il legame con mariti, compagni o familiari violenti. E parliamo purtroppo di un fenomeno ancora drammaticamente diffuso: le donne che hanno subito violenza in Italia sono quasi 7 milioni, un terzo della popolazione femminile tra i 16 e i 70 anni. E nella stragrande maggioranza dei casi si tratta di violenze consumate in ambito familiare».
Dietro a questi numeri non solo i ritardi di carattere culturale, gli atteggiamenti di omertà e di vergogna che continuano a coprire troppi casi di violenza familiare, ma anche le lungaggini e la farraginosità della macchina giudiziaria, che troppo spesso lascia le donne inermi di fronte ai propri persecutori: «Si pensi – commenta ancora Olivo – che nel 25% dei casi le vittime di femminicidio avevano denunciato gli episodi di violenza subiti da parte dei propri futuri assassini. Si alimenta così un atteggiamento di sfiducia verso le istituzioni che contribuisce ad alzare quel muro di omertà e di silenzio dietro al quale i violenti trovano protezione e impunità. E se è vero che il cambiamento non si fa solo con le leggi, applicare le buone leggi sarebbe sicuramente un passo in avanti».
La denuncia arriva alla vigilia del 25 novembre, Giornata internazionale contro la violenza sulle donne. E non è un caso se la Cgil punta il dito sull’attuazione del decreto 80: «Non si tratta – dichiara ancora Olivo – di un aspetto marginale, perché l’esposizione alla violenza è legata anche alle condizioni occupazionali ed economiche, che sono peggiorate con la crisi. E’ evidente infatti che la mancanza di un lavoro e di un reddito impedisce di recidere il legame con mariti, compagni o familiari violenti. E parliamo purtroppo di un fenomeno ancora drammaticamente diffuso: le donne che hanno subito violenza in Italia sono quasi 7 milioni, un terzo della popolazione femminile tra i 16 e i 70 anni. E nella stragrande maggioranza dei casi si tratta di violenze consumate in ambito familiare».
Dietro a questi numeri non solo i ritardi di carattere culturale, gli atteggiamenti di omertà e di vergogna che continuano a coprire troppi casi di violenza familiare, ma anche le lungaggini e la farraginosità della macchina giudiziaria, che troppo spesso lascia le donne inermi di fronte ai propri persecutori: «Si pensi – commenta ancora Olivo – che nel 25% dei casi le vittime di femminicidio avevano denunciato gli episodi di violenza subiti da parte dei propri futuri assassini. Si alimenta così un atteggiamento di sfiducia verso le istituzioni che contribuisce ad alzare quel muro di omertà e di silenzio dietro al quale i violenti trovano protezione e impunità. E se è vero che il cambiamento non si fa solo con le leggi, applicare le buone leggi sarebbe sicuramente un passo in avanti».