Voucher, la politica doveva intervenire prima
«Se sul lavoro accessorio ci troviamo davanti a un vuoto normativo, la responsabilità è tutta della politica, che in tanti anni non ha visto o ha finto di non vedere quali erano gli effetti della deregulation dei voucher». Il segretario regionale della Cgil Fvg Villiam Pezzetta reagisce così alle mozioni approvate ieri dal Consiglio regionale, «diverse nei toni – commenta – ma unanimi nel sollecitare nuove norme che consentano il ricorso ai voucher».
La Cgil, da parte sua, rivendica il merito di avere dato «una scossa», attraverso i referendum, per porre al Paese l’esigenza di «arginare il dilagare del lavoro precario, che ha nei voucher uno dei suoi principali strumenti, anche se non l’unico», dichiara ancora il segretario, ricordando che l’abrogazione, per il suo sindacato, è solo il punto di partenza, non l’obiettivo finale: «La proposta di legge sulla Carta dei diritti universali del lavoro, che ha appena cominciato il suo iter parlamentare, dedica due articoli al tema del lavoro accessorio – spiega Pezzetta – prevedendone il ricorso nel lavoro familiare e nell’ambito dei grandi eventi, e limitatamente ad alcune categorie di utilizzatori come gli inoccupati, i pensionati e i disoccupati che non percepiscono indennità sostitutive del salario. Siamo consapevoli quindi, che sul tema sarà necessario un intervento legislativo, ma quelle di chi adesso imputa alla Cgil la responsabilità della cancellazione dei voucher sono lacrime di coccodrillo. I referendum, al contrario, hanno avuto il merito di smuovere le coscienze e di costringere la politica a intervenire per porre un freno contro quegli abusi che adesso tutti riconoscono, ma di fronte ai quali tutti, o quasi tutti, tacevano».
Ecco perché la Cgil, pur comprendendo «i timori delle famiglie che chiedono strumenti agili e sburocratizzati per l’assunzione colf e assistenti, così come l’ansia dei tanti lavoratori che anche in questa regione vedono i voucher come l’unica concreta opportunità di un reddito», ribadisce che la logica non può essere quella del «meglio che niente». E che oltre alle assunzioni classiche, a tempo indeterminato e a termine, la legislazione prevede altre 44 forme di contratto cui possono attingere le aziende per le proprie assunzioni.
«Quello che deve essere chiaro a tutti – conclude Pezzetta – è che un lavoro pagato 10 euro all’ora, contributi compresi, deve essere un’eccezione rigorosamente limitata e non una prassi che riguarda quasi un milione e mezzo di lavoratori in Italia e 50mila in questa regione. Una regione, detto per inciso, dove la crisi ha cancellato 20mila posti di lavoro e fatto sì che si lavori a condizioni peggiori rispetto a qualche anno fa, come dimostrano i 13mila part-time forzati in più rispetto al 2008, gli almeno 6.000 lavoratori che vivono di soli voucher e quelli, che sono altrettanti, per i quali la cassa integrazione o l’indennità di disoccupazione costituiscono l’unico reddito».