Allarme Cgil, in provincia di Udine altri 2.000 posti a rischio

Millesettecento posti di lavoro già persi tra chiusure ed esuberi, altri 2.000 a rischio nelle cento aziende con procedure di cassa integrazione straordinaria in corso, almeno 5.000 lavoratori in cassa integrazione a zero ore. È la fotografia della crisi scattata dalla Cgil di Udine, che in oggi ha tracciato il quadro occupazionale dei principali settori dell’industria e del terziario
«Le cifre – ha dichiarato il segretario provinciale Alessandro Forabosco – restano allarmanti e ci dicono che la ripresa, purtroppo, è ancora lontana. Soprattutto per due settori chiave come il legno e l’edilizia, dove il quadro risulta ulteriormente peggiorato rispetto al 2010». Tra i segnali negativi spicca l’aumento della cassa integrazione straordinaria e in deroga, in crescita del 5% rispetto al 2010 e con una preoccupante tendenza al rialzo manifestatasi negli ultimi mesi. Dai 7 milioni di ore autorizzati nel periodo gennaio-settembre 2010, in provincia di Udine si è passati a quasi 7,5 milioni di ore, mentre a livello regionale si è registrata una flessione del 20%, da 14,8 a 12,4 milioni di ore.
Al rialzo di Udine contribuiscono soprattutto i settori del legno e delle costruzioni, dove le ore di cassa straordinaria e in deroga sono sostanzialmente raddoppiate rispetto al 2009, passando da 1,2 a 2,4 milioni di ore. Complessivamente la Cig si assesta poco al di sotto dei livelli del 2010 (8,5 milioni di ore quest’anno, contro gli 8,8 del 2010), con il calo della cassa ordinaria (da 1,7 a 1,1 milione di ore) che bilancia l’aumento di Cigs e cassa in deroga. Anche in questo caso il dato è peggiore rispetto al quadro regionale, che da gennaio a settembre vede un calo del 20% (da 20 a 16 milioni) delle ore di Cig autorizzate.
Tra le aziende sindacalizzate, nel biennio 2009-2010, la Cgil ha registrato a livello provinciale una una trentina tra chiusure e ristrutturazioni, per 1.700 posti di lavoro persi. Oltre cento invece le aziende con procedure di cassa integrazione straordinaria attivate, di cui più di novanta nel manifatturiero e una decina nel terziario. Tra i settori più colpiti legno ed edilizia, con 37 aziende coinvolte da Cigs o contratti di solidarietà, per un totale di 2.800 lavoratori coinvolti, come ha rimarcato il segretario provinciale della Fillea-Cgil Villiam Pezzetta.. Lungo l’elenco anche nella meccanica, dove sono 38 le aziende che hanno attivato questo tipo di ammortizzatori, con 2.300 dipendenti interessati. Se in alcuni settori il ricorso alla cassa risulta in calo rispetto allo scorso anni,  i segnali di ripresa sono ancora timidi e contraddittori, come hanno segnalato anche i responsabili dei sindacati di categoria: Gianpaolo Roccasalva e Maurizio Balzarini della Fiom (meccanici), Roberto Di Lenardo della Filctem (chimici e tessili), Paolo Morocutti della Slc (carta) e Fabrizio Morocutti della Flai (agroalimentari).
Preoccupa in particolare l’andamento della cassa integrazione straordinaria, che in provincia di Udine risulta addirittura in aumento del 37% rispetto al 2010. «Le nuove procedure avviate quest’anno – ha detto Forabosco – sono 36 e riguardano oltre 3mila lavoratori, con 1.200 nuovi potenziali esuberi. Ma le aziende con procedure ancora in corso sono complessivamente un centinaio, con 6.000 lavoratori coinvolti e almeno 2.000 posti a rischio. Tutto questo in un quadro che vede già la disoccupazione al 6,3% e al 18,7% quella giovanile (under25), con una punta del 25% tra le donne».
Da qui, per la Cgil , l’esigenza evidente di nuove politiche, nazionali e locali, di sostegno alla ripresa. Investimenti sulle infrastrutture, sblocco delle opere cantierabili anche attraverso una revisione del patto di stabilità, divieto di appalti al massimo ribasso, piani straordinari per l’edilizia pubblica e scolastica, sostegno all’occupazione femminile e giovanile, incentivi alla crescita e all’internazionalizzazione delle imprese: queste le principali misure rivendicate dalla Cgil. «Perché gli ammortizzatori sociali – ha dichiarato Forabosco – da soli non bastano. Per fermare l’emorragia di posti di lavoro e dare nuove prospettive ai giovani bisogna rilanciare l’economia e una domanda interna drasticamente penalizzata dal crollo dei redditi reali di lavoratori e pensionati».