I limiti dell’autonomia ai tempi della crisi
di Franco Belci, segretario generale Cgil Fvg (dal Piccolo, pagina interventi e segnalazioni)
Quella del 31 gennaio in Consiglio è stata, più che una celebrazione, una difesa d’ufficio dell’autonomia, messa in discussione dall’invasività dello Stato centrale e dalla drastica riduzione dei trasferimenti. Non c’è dubbio che si tratta di argomentazioni che hanno fondate ragioni, come ha confermato anche il presidente della Corte Costituzionale nella sua “lectio magistralis”. Ma esse sfuggono a due nodi di fondo. Il primo è costituito dalla mancanza di un’elaborazione politica delle ragioni dell’autonomia che sta alla base della discontinuità della sua storia, e ha impedito di farne un elemento condiviso del sentire collettivo. Si sono alternati infatti momenti di esercizio alto e responsabile ad altri nei quali è stata usata invece come argine per evitare o aggirare grandi riforme nazionali e, da ultimo, come strumento di discriminazione nei confronti dei migranti. Il secondo limite è costituito dal fatto che l’autonomia è stata troppo spesso identificata esclusivamente con la misura delle risorse trasferite producendo come meccanica conseguenza una defatigante trattativa della Regione coi territori impegnati a portarsi a casa la fetta più grande possibile. Del resto ci sono in Fvg forze politiche che individuano, nei loro programmi, quale fondamento e condizione dell’autonomia la possibilità di trattenere sul territorio il 75% delle risorse prodotte, salvo prevederne la realizzazione attraverso l’integrazione del Fvg in una macro regione del Nord. Una suggestione condivisa quest’estate anche da Tondo. Sarebbe bene spiegassero come si coniuga con quel progetto la difesa della nostra autonomia differenziata. Intendiamoci: non è immaginabile che a competenze acquisite non corrispondano le risorse per esercitarle. Da questo punto di vista è necessario aprire col nuovo Governo una serie negoziazione. Ma finora quelle competenze sono state esercitate mutuando tempi, procedure e modelli organizzativi dello Stato e gli effetti per i cittadini non sono stati percepibili. E’ mancata una sufficiente capacità di utilizzare le proprie prerogative per innovare sui terreni dello sviluppo economico, della legislazione, del modello istituzionale, di quello amministrativo e organizzativo. Oggi, con le risorse in calo irreversibile, è indispensabile riconquistare l’autonomia con la qualità della politica e l’esercizio della responsabilità, ripartendo dall’origine: quella di unire due territori compressi da due confini in un unico progetto di sviluppo. Oggi quei confini non sono più barriere, ma strumenti di comunicazione e propongono sfide e scenari inediti che richiedono gli interventi economici, infrastrutturali e sociali necessari per affrontarli. E chiamano a un esercizio diverso dell’autonomia: se non è sorretta dalla qualità della politica e da una visione del futuro è infatti destinata ad atrofizzarsi. Per evitarlo sarà necessario rendere i cittadini del Fvg consapevoli che essa non è un privilegio, ma un progetto politico da definire attraverso la partecipazione democratica per costruire un’identità che non sia la somma di quelle territoriali ma sia fondata sulla coesione sociale e sui diritti di cittadinanza: condizione indispensabile per esercitare quella funzione di ponte tra etnie, culture, economie diverse che la sua collocazione geopolitica le può assegnare.