Enti locali, il lavoro pubblico cardine della riforma
Puntare a una Regione più “leggera”, che eserciti compiti di legislazione, alta amministrazione e controllo, devolvendo le altre competenze agli enti locali più prossimi al cittadino. Definire un processo di aggregazione dei Comuni, con criteri vincolanti, per la gestione associata dei servizi, favorendo la semplificazione degli organismi politici su scala sovracomunale. Semplificare gli strumenti amministrativi e delle procedure. Fare leva sulle risorse del lavoro pubblico.
GLI OBIETTIVI. Questi, per la Cgil, i principi cardine della riforma delle autonomie locali, al centro della proposta illustrata oggi dal segretario Franco Belci e da Mafalda Ferletti, segretario regionale della Funzione Pubblica Cgil. Una riforma che la Cgil considera ineludibile, e che deve partire da una ricognizione delle attuali competenze istituzionali e del loro concreto esercizio per verificare razionalità ed efficacia dell’azione amministrativa. Su queste basi si dovrà decidere anche sulla permanenza o meno delle Province e andranno previste forme vincolanti di aggregazione con la condivisione di funzioni e servizi dei Comuni. «Con l’obiettivo di varare – spiegano Belci e Ferletti -una grande operazione di semplificazione amministrativa, in grado di definire procedure snelle e accelerare i tempi delle pratiche. Tutti interventi che dovranno essere previsti da un’apposita legge regionale, anche nella prospettiva di un rilancio dell’economia, cominciando con un’effettiva applicazione di istituti giuridici e di criteri organizzativi già vigenti».
GOVERNANCE. Dietro alla proposta la convinzione che per uscire dalla crisi è necessaria una forte governance pubblica, in netta controtendenza rispetto al modello adottato nella passata legislatura. «Bisogna girare pagina – dichiara Belci – e la politica deve riprendere in mano, aggiornandoli, gli strumenti della programmazione, in quanto fattori determinanti dello sviluppo».
PERSONALE. Da qui la richiesta di una nuova legge di riforma, capace di riprendere e valorizzare gli strumenti come la legge 1/2006 sulle aggregazioni dei Comuni e la mobilità del personale, prevista dal contratto del comparto unico. «Il blocco delle assunzioni ha determinato una riduzione di oltre 1.000 unità nel personale degli enti locali, che ha penalizzato in particolare i comuni di piccole dimensioni, sempre più in difficoltà nel garantire i servizi necessari all’utenza», spiega Mafalda Ferletti. «Piuttosto che invocare ulteriori tagli – prosegue la segretaria Fp – bisogna definire una ripartizione più efficiente dei compiti e delle funzioni, per valorizzare il ruolo fondamentale del lavoro pubblico, anche attraverso un modello di relazioni sindacali capace di governare processi concertati di mobilità del personale e un rilancio della formazione». La Cgil sollecita inoltre una ricognizione del fabbisogno complessivo e giudica ineludibile l’avvio di nuovi concorsi, con la definizione di graduatorie regionali, e l’incremento delle figure di precari da stabilizzare in base al decreto 101/2013.
CONSULENZE E TRASPARENZA. Sul fronte dei costi notevoli economie possono derivare da un drastico taglio delle consulenze, che secondo i dati più recenti comportano un costo di circa 20 milioni all’anno tra Regione ed enti locali. La proposta è di limitarne l’uso ai casi in cui le professionalità e le competenze richieste non possano essere individuate né all’interno dell’ente né in altri enti appartenenti al comparto. Per garantire ai cittadini un reale controllo sui costi e sull’efficacia dell’azione amministrativa, e non soltanto in materia di incarichi esterni, la Cgil ritiene indispensabile in ogni caso il ricorso a strumenti che garantiscano in modo più stringente la trasparenza delle politiche e delle scelte degli enti.
DIRIGENZA. La Cgil, infine, giudica positivi i primi passi fatti dalla Giunta nella ridefinizione delle figure dirigenziali. Ma sollecita ulteriori passi per parametrare il numero delle figure dirigenziali all’entità complessiva del personale, per ridurre la forbice nei trattamenti tra personale dirigenziale e non e per limitare a pochissime figure il ricorso allo spoils system, «una pratica che finisce col un asservimento delle tecno-strutture ai desiderata della politica», e per introdurre nuovi e più efficaci meccanismi di valutazione sull’operato dei dirigenti.