Allarme Neet, in Fvg 40mila giovani senza lavoro né studio
Trentasettemila disoccupati, la metà dei quali giovani al di sotto dei 35 anni, almeno 2mila lavoratori a rischio esubero alla scadenza degli ammortizzatori sociali, un mercato del lavoro che stenta a tornare sopra la soglia dei 500mila occupati. Queste le ferite lasciate ancora aperte dalla recessione nel tessuto economico e occupazionale della regione, nell’analisi tracciata dal segretario generale della Cgil Friuli Venezia Giulia Villiam Pezzetta.
EMERGENZA NEET. Ma a preoccupare il maggiore sindacato regionale (107mila iscritti a fine 2016) c’è un altro dato spesso ignorato: si tratta del numero dei cosiddetti Neet, i giovani senza lavoro e non impegnati in un percorso di studio o formazione (non engaded in employment, education and training). Nella fascia di età normalmente considerata, quella compresa tra i 15 e i 29 anni, i Neet in regione sono 28mila, con una crescita del 43% sul 2008, e rappresentano il 18% della popolazione di riferimento. «Ma sono quasi 42mila – spiega Pezzetta – nella fascia 15-34 anni, di cui 19mila giovani sono disoccupati in senso tecnico, mentre i restanti 23 mila, più della metà, non solo non cercano lavoro, ma neppure studiano né fanno formazione».
LE CAUSE. Oltre a raddoppiare la disoccupazione, che oggi si attesta al 6,9% ma sale al 28% nella fascia 15-25 anni (e al 15% per gli under 35), «la crisi ha anche alimentato – prosegue Pezzetta – un senso di scoraggiamento che tiene lontani molti giovani dal mercato del lavoro e ritarda la loro indipendenza economica e familiare». A tenere distanti i giovani nel mercato del lavoro, rimarca ancora il segretario Cgil, «anche l’impatto della riforma Fornero, che ha pesantemente rallentato il turnover occupazionale, e i limiti di un sistema scolastico, formativo e universitario che non riesce a garantire alle imprese le competenze, le specializzazioni e le professionalità di cui avrebbero bisogno». Si conferma inoltre la crescita del lavoro povero, testimoniata anche dal crescente peso del part-time, che sfiora il 20% dei contratti, perché spesso imposto dalle aziende più che volontario.
RIPRESA LENTA. A fianco di tanti segnali tuttora negativi, la Cgil intravede però anche i sintomi di un’inversione di tendenza. Il ricorso alla cassa integrazione, che nel 2016 risultava già dimezzato rispetto al picco di 40milioni di ore toccato nel 2014, ha fatto segnare nella prima metà del 2017 un’ulteriore flessione del 50%, anche se resta elevato il numero di lavoratori coinvolti: come detto sono circa 10mila, di cui sono almeno 2mila, secondo Pezzetta, quelli su cui pende la spada di Damocle degli esuberi alla scadenza degli ammortizzatori. In flessione anche le richieste di indennità di disoccupazione Naspi, che da un ritmo di 2.500 al mese nel 2016 sono scese a 2mila, con 10mila domande complessive tra gennaio e maggio.
NUBI. Anche l’analisi settoriale del tessuto economico e produttivo evidenza una situazione a luci e ombre. «Se da un lato i comparti chiave come meccanica, siderurgia e mobile registrano un’incoraggiante ripresa delle commesse, dall’altro restano aree a forte tensione occupazionale, come l’intero distretto della componentistica della Destra Tagliamento e il Manzanese». Preoccupano inoltre la situazione dell’edilizia, che pur avendo fermato la caduta di imprese e addetti non sembra ancora avere intrapreso una vera inversione di tendenza, e i nodi ambientali che rendono incerto il futuro della Ferriera di Servola.
LA REGIONE. Pur consapevole che non può essere soltanto la mano pubblica, statale e regionale, a spingere la ripresa, Pezzetta è convinto che la Regione possa giocare un ruolo importante nel sostenere un’inversione di tendenza ancora troppo timida: «Un esempio positivo viene dal porto di Trieste – spiega Pezzetta – che con il nuovo regime del punto franco può avviare una fase di forte sviluppo dei traffici, a beneficio dell’economia giuliana e di tutto il territorio regionale. Ma scelte strategiche importanti – aggiunge – possono essere fatte anche sul fronte delle infrastrutture, della messa in sicurezza del territorio e del patrimonio edilizio pubblico e privato, dell’energia, del turismo, del recupero di siti dismessi come quelli militari: interventi, questi, che oltre a rispondere a obiettivi virtuosi in sé possono dare un contributo decisivo al rilancio dell’edilizia e del suo vasto indotto».