Bonus bebè, il welfare anti-immigrati bocciato dal giudice
Il requisito di anzianità di residenza costituisce una forma di discriminazione indiretta o dissimulata a danno dei cittadini comunitari residenti in Fvg ed è contrario, pertanto, ai principi di parità di trattamento vigenti nell’Unione europea. Questa, in sintesi, la motivazione con cui il giudice del lavoro del Tribunale di Udine ha accolto, con una sentenza emessa il 30 giugno, il ricorso presentato da un cittadino rumeno contro la mancata erogazione dell’assegno di natalità regionale, il cosiddetto bonus bebè, da parte del Comune di Latisana.
La decisione del giudice, in particolare, dichiara illegittimo il criterio previsto dall’art. 8 bis della legge regionale n. 11/2006 (“Interventi regionali a sostegno della famiglia e della genitorialità”), che nella nuova formulazione approvata nell’attuale legislatura stabilisce, per l’accesso al beneficio, il requisito della residenza decennale in Italia e quinquennale in regione. In considerazione del fatto che il diritto comunitario ha un’efficacia ed applicabilità immediata e diretta nell’ordinamento interno e prevale su qualsivoglia norma interna ad esso incompatibile, il giudice di Udine non ha potuto far altro che imporre al Comune di Latisana di disapplicare la norma regionale nella parte in cui impone il requisito di anzianità di residenza.
Accolte quindi le tesi di Cgil, Cisl e Uil, che hanno sostenuto il ricorso assieme all’Asgi, l’Associazione studi giuridici sull’immigrazione, che ne ha curato l’iter giudiziario. «Il giudice di Udine – spiega il responsabile regionale dell’Asgi Walter Citti – ha giustamente rilevato inoltre che la discriminazione non ha una ragionevole giustificazione, in quanto si riferisce ad una misura attinente alla tutela della famiglia, della natalità, dei minori e delle funzioni genitoriali. Istituti che, per loro intrinseca natura e finalità, si richiamano a valori di valenza universale e che pertanto debbono rivolgersi indistintamente a tutta la popolazione residente, senza distinzioni, in adesione a principi costituzionali e a quanto previsto dalle convenzioni internazionali vincolanti per l’Italia, come la convenzione Onu sui diritti del fanciullo».
Si tratta della prima vittoria nella battaglia promossa dai sindacati contro l’impostazione discriminatoria delle norme sul welfare voluta dall’attuale maggioranza. Battaglia che aveva già visto una mobilitazione di piazza con la manifestazione del 27 ottobre