Electrolux, il Governo dia risposte concrete ai lavoratori
E’
indispensabile un forte intervento congiunto dei presidenti delle
quattro regioni coinvolte dalla crisi Electrolux nei confronti del
Governo affinché faccia valere, anche in sede comunitaria, le ragioni
della permanenza in Italia degli stabilimenti.
Non si può subire la
scelta della multinazionale di mettere tale permanenza in discussione,
assieme ad oltre 6.000 posti di lavoro più altre migliaia dell’indotto.
Tutto questo dopo che Fim, Fiom e Uilm avevano sottoscritto, sei mesi
fa, un accordo valido fino al 2015 per affrontare questa fase con un uso
della cassa integrazione a riduzione d’orario e successivamente con i
contratti di solidarietà.
Ciò dovrebbe indurre a una riflessione
quanti non si stancano di chiedere al sindacato senso di responsabilità e
maggiore flessibilità nel mercato del lavoro: la prima non manca a noi
ma alle multinazionali che non rispettano gli accordi e che sono
totalmente disinteressate alla sorte dei lavoratori, spesso, come nel
caso di Electrolux, dopo aver incassato fior di contributi pubblici.
Meno Stato e più mercato è uno slogan vuoto: tutti oggi, a cominciare
dalle aziende, si scoprono statalisti salvo accusare il sindacato di
esserlo in tempi di vacche grasse, quando si tratta di spartire
dividendi. Quanto alla riforma del mercato del lavoro, dovrebbe essere
definitivamente chiarito che non è attraverso di essa che si creano
posti di lavoro.
Ma la crisi Electrolux chiama fortemente in causa
anche l’Europa. Noi crediamo fortemente in una Ue democratica, coesa,
solidale. Ma oggi siamo in un quadro ben diverso nel quale gli stati
membri competono unicamente sul dumping fiscale, sulla riduzione del
perimetro pubblico e sul costo del lavoro. L’ipotizzato trasferimento
della produzione viene infatti motivato da Electrolux con le migliori
condizioni economiche che godrebbe nei paesi dell’Est Europa e che
mettono in luce tutti i limiti di una Ue nella quale le politiche di
bilancio fanno premio su tutte le altre e gli aiuti di Stato sono
considerati con una valutazione a geometria variabile.
Infine, va
chiamato in causa il ruolo del Governo che, invece di affrontare
seriamente con la legge di stabilità il problema della crescita e della
competitività del sistema, anche attraverso la detassazione degli
investimenti, sta disperdendo le poche risorse disponibili in mille
rivoli, a cominciare da una riforma dell’Imu che finisce per spostare la
tassazione dai patrimoni ai servizi favorendo i redditi alti. E non ha
messo in campo serie misure di sostegno al reddito per rilanciare i
consumi, unica strada per evitare il rischio deflazione.
Non si
sarebbe potuto pensare ad esempio, per fronteggiare queste conseguenze
della crisi, al rifinanziamento del fondo di decontribuzione per i
contratti di solidarietà bloccato dal 2006? Anche contro questa miopia
dell’esecutivo Cgil, Cisl e Uil hanno scioperato e per questo decine di
migliaia di persone sono scese in piazza nelle nostre regioni: perché la
conseguenza finale delle scelte della legge di stabilità, se non verrà
modificata, è la perdita dei posti di lavoro. Dunque questa vertenza
sarà un banco di prova decisivo rispetto al quale l’esecutivo è chiamato
a fornire ai territori e ai lavoratori risposte concrete.
Nino Baseotto, Franco Belci, Vincenzo Colla, Emilio Viafora
segretari generali Cgil Lombardia, Friuli Venezia Giulia, Emilia Romagna,Veneto