Giovani, il lavoro che non c’è
Più che una flessione è un crollo, una fuga dei giovani dal mercato del lavoro. Un mercato del lavoro dove l’asticella dell’età media ha quasi raggiunto la soglia dei 45 anni, e dove gli under 35 rappresentano soltanto il 21% degli occupati, poco più di 1 su 5. Per la Cgil Fvg, che legge i dati Istat e lancia l’allarme con il segretario generale Franco Belci, è la dimostrazione di una crisi che sta stravolgendo non soltanto la struttura occupazionale, ma anche il tessuto sociale di questa regione. E la conferma che la riforma Fornero, approvata a fine 2012 per provare a mettere in sicurezza gli equilibri del sistema previdenziale, sta creando danni ben superiori ai benefici, veri o presunti, sulla tenuta dei conti pensionistici.
LE CIFRE. I conti sul’andamento occupazionale nel 2014, definitivi dopo il report sul quarto trimestre, non dicono soltanto che il numero di occupati continua a scendere, con oltre 23mila posti persi a partire dal 2008, e ad aumentare la disoccupazione, raddoppiata ormai dal 4,3% di sei anni fa all’8,3% registrato come dato medio nel 2014 (ma con una punta del 9,4% nell’ultimo trimestre). Ben più allarmante è la loro lettura sitinguendo per fasce d’età: i posti persi tra gli under 35, sempre dal 2008 a oggi, sono infatti oltre 45mila, gli ultimi 3mila dei quali lo scorso anno. Analizzando anche la fascia mediana, quella compresa tra i 35 e i 44 anni, la flessione supera i 71mila posti, mentre i lavoratori over 45 sono 48mila in più rispetto a 6 anni fa. Quasi una mutazione genetica per un mercato del lavoro nel quale i giovani fanno sempre più fatica ad entrare.
LA CGIL. «I fattori che ci preoccupano – commenta Franco Belci – sono due. Il primo è di carattere congiunturale, e deriva dal fatto che la nostra regione non mostra alcun segno di ripresa, ma un trend negativo più marcato rispetto a quello che si registra a livello nazionale. Il secondo riguarda proprio l’impatto sui più giovani, con tassi di disoccupazione che superano il 27% tra gli under 25 e sfiorano il 13% nella fascia 25-34 anni. Dinamiche che rafforzano le ragioni della nostra proposta di reddito di base, uno strumento che per la Cgil deve essere legato a percorsi di inserimento e reinserimento al lavoro». Nello stesso tempo, come rivendica Orietta Olivo, responsabile regionale Cgil del mercato del lavoro, bisogna dare gambe a Garanzia Giovani: «Perché il raggiungimento dei 20mila iscritti al progetto – dichiara Olivo – non è di per sé un risultato, se non si traduce in percorsi concreti di collocamento e assunzione».
JOBS ACT. Del tutto ingiustificato, per Belci, l’ottimismo di chi si attende un rilancio occupazionale legato all’attuazione del jobs act. «Non ci credono più neppure gli industriali – commenta il segretario – che sostenevano questa tesi prima dell’approvazione della legge. Anche autorevoli esponenti della classe imprenditoriale, di collocazione politica non certo vicina alla sinistra, sostengono del resto che il vero effetto del jobs act sarà quello di rendere più deboli i lavoratori, licenziabili anche senza giusta causa, e il sindacato. Una scelta che mina la coesione sociale, nell’ambito di una logica neocentralista che punta a bypassare l’intermediazione sia dei corpi sociali che dei livelli istituzionali».
SOS AMMORTIZZATORI. Altro fattore di preoccupazione l’indebolimento progressivo del sistema degli ammortizzatori. «La flexisecurity promessa dal Governo – conclude Belci – è solo una mistificazione. Non è vero infatti che il lavoratore licenziato viene preso in carico dallo Stato. Né si può far passare l’idea di affidare al sindacato il ruolo di centro per l’impiego, addirittura con premi per i collocamenti: questo significherebbe stravolgere alla radice l’idea e la funzione di un sindacato».