La legge sul buon lavoro non deve essere cancellata
di FRANCO BELCI, segretario generale Cgil Fvg
Nel primo confronto col Presidente della Regione, qualche settimana fa, abbiamo avviato una discussione partendo dal programma di Governo espresso nelle sue dichiarazioni programmatiche e proponendo un documento basato sulle priorità che Cgil, Cisl, Uil individuavano per tutelare gli interessi di lavoratori e pensionati. L’obiettivo era quello di avviare un confronto a tutto campo, per cercare di individuare punti di equilibrio e soluzioni che passassero attraverso percorsi di mediazione delle reciproche posizioni alla ricerca delle sintesi possibili.
Ci sembrava di aver condiviso col Presidente anche il metodo: tavoli bilaterali per materie di pertinenza esclusiva della Regione e delle organizzazioni sindacali, sedi di concertazione ristrette per le sessioni di politica di bilancio e per le materie sulle quali entrano in gioco titolarità e interessi di tutte le forze sociali. Naturalmente, alla fine, le decisioni spettano comunque alla politica, che rappresenta interessi generali, e ciascuna parte assume le proprie posizioni in relazione alla condivisione o meno delle soluzioni da essa individuate.
Non ci interessa la forma di questo percorso, ma la sostanza, cioè la stabilità e la qualità delle relazioni sindacali. Come alla Giunta dovrebbero interessare le posizioni che assumiamo per conto dei lavoratori e dei pensionati che rappresentiamo. E su questo punto davvero non ci siamo. Dopo l’abrogazione, al di fuori di ogni confronto, della legge sull’immigrazione e di quella sul reddito di cittadinanza, abbiamo ora nuove esternazioni di esponenti della maggioranza che riguardano l’abrogazione della riforma delle autonomie locali e la revisione della legge 18/2005 (del “buon lavoro”, come recita il sito della Regione) da tutti riconosciuta come efficace strumento di sostegno e di stabilizzazione dell’occupazione.
L’assessore competente sostiene che non ci devono essere interventi indistinti a ogni azienda che stabilizza un precario e che essi devono invece essere mirati alle condizioni di maggiore difficoltà. Ce le segnali (possibilmente non attraverso la stampa), ci dica come intende affrontarle. Ne discuteremo. Vedremo se troveremo un accordo o meno. Ma questa improvvisa esternazione, motivata con numeri che di per sé non significano granché, ha l’aria di voler mettere le mani avanti rispetto alla scelta di non aver impegnato adeguate risorse. Se fosse così sarebbe già abbastanza grave. Ma temiamo che possa essere ancora peggio. L’on. Gottardo dichiara infatti che la legge 18 «porta avanti una logica assistenzialista» e che occorre arrivare in Regione ad una piena applicazione di quella che impropriamente chiama la “legge Biagi” e che in realtà è stata scritta dall’allora ministro del lavoro Maroni e dall’allora sottosegretario Sacconi.
Ricordo a Gottardo che quella normativa ha introdotto il precariato come modalità ordinaria del rapporto di lavoro, ponendo al centro dell’attenzione non la persona ma il processo produttivo, del quale il lavoratore costituisce un semplice ingranaggio. Ha creato così un clima di gravissima insicurezza soprattutto tra i giovani: essa segna infatti ogni giorno di più il loro modo di essere e di vivere, senza la prospettiva (non la certezza) della stabilità che i loro genitori hanno avuto. Ne ha risentito in maniera preoccupante anche la sicurezza sul lavoro, con un’associazione statistica di evidenza oggettiva tra precarietà e incidenti. Ne ha risentito la qualità del lavoro e la produttività, perché le aziende non sono state incentivate a investire in formazione. Ancora due anni fa, del resto, l’associazione Nuovi lavori, presieduta da Giuseppe De Rita, produsse una ricerca nella quale si affermava che «la flessibilità non è più una leva di gestione straordinaria dell’impresa, ma è entrata in una fase di normalizzazione in cui si autoriproduce senza essere una leva di sviluppo e di innovazione né per le aziende, né per i lavoratori».
Se il vero obiettivo è quello di abrogare di fatto la legge regionale 18 per approdare ad un mero recepimento del d.lgs.276/2003, lo si dica chiaramente. Sarebbe un’ulteriore conferma che questa Giunta sa solo distruggere e non è capace di alcuna autonoma elaborazione. E allora il confronto diventerà davvero difficile. Ma non per nostra volontà.