Quattro priorità per il centrosinistra
Mi capita ogni giorno di incontrare lavoratori licenziati o in cassa, con l’azienda in crisi o senza prospettive. Giovani, precari o disoccupati, all’affannosa ricerca di un lavoro che dia qualche garanzia di continuità e di un futuro che sembra precluso già nei passaggi fondamentali. A loro il Governo non sta dando risposte, bloccato nella logica della contabilità, comprensibile nell’emergenza ma pericolosa se si protrae troppo a lungo senza lasciar intravvedere l’obiettivo dei sacrifici. In questo contesto ha avuto un effetto detonante il caso Lazio, sintesi estrema del degrado della politica. E tanto più preoccupante in quanto dà corpo e ragione al sospetto, da parte dei lavoratori dipendenti e dei pensionati, che i tagli all’occupazione, ai salari e alle pensioni possano tradursi in sperperi per la politica (per fortuna non tutta).
È bene che ci sia la consapevolezza che tutto ciò prefigura un serio rischio sociale che non potrà essere eluso nella prossima campagna elettorale. Da elettore del centro sinistra non chiedo un progetto dettagliato, impegni insostenibili o salti che finiscano sotto l’asticella. Deve però essere indicata con chiarezza una direzione di marcia percorribile, magari articolata per fasi che rendano di volta in volta verificabili avanzamenti e ritardi in un rapporto di trasparenza coi cittadini. L’austerità di Enrico Berlinguer (che,ovviamente, non aveva nulla a che fare con i tagli di Monti), rappresentava, in altre condizioni, questa necessità e può costituire oggi un utile paradigma. Perché la realtà è che ci vorranno anni per tornare ai livelli di benessere pre-crisi:ma esso non potrà essere più fondato sul prevalere dell’individualismo su ogni dimensione collettiva, concausa della corruzione, sul profitto a breve quale principale orizzonte dell’impresa, sul consumo indiscriminato dell’ambiente, sulle diseguaglianze che l’economia finanziarizzata continua ad allargare. Insomma non ce la caveremo se non riusciremo a costruire un nuovo modello sociale ed una nuova prospettiva di sviluppo.
La Cgil indica quattro priorità: un radicale cambiamento nella politica che reintroduca uno spessore etico, ne riduca i costi, ampli gli spazi della democrazia, della partecipazione e del controllo. Una strada per uscire dalla crisi che prosegua l’opera di risanamento dei conti ma con carichi equamente distribuiti e con una riduzione delle diseguaglianze sociali. Una politica per il lavoro che produca nuova occupazione, dalla green economy alle indispensabili opere di riassetto idroogeologico del Paese. Infine, una ridefinizione della legge sul mercato del lavoro, che ha dimostrato di non saper risolvere uno solo dei nodi che era chiamata ad affrontare. Si pensi solo all’aumento esplosivo del precariato e alla riduzione degli ammortizzatori sociali dal 2014: essa ridurrà la protezione sociale dentro una fase recessiva rischiando di creare ondate di disoccupazione, tant’è vero che è stata già messa in discussione in relazione alle esigenze della Fiat.
Vi è una grande distanza tra questi temi e quelli del dibattito all’interno del centro sinistra, nel quale continuano a prevalere le ambizioni personali, o anche solo la voglia di visibilità che porta all’affollamento delle primarie senza che si capisca ancora se sono di partito o di coalizione. Girano anche in regione lettere di diffida nei confronti degli alleati accusati di assumere posizioni“incompatibili” col programma del Pd: mi verrebbe da chiedere quale sia quel programma al di fuori della pur coraggiosa assunzione di responsabilità per sostenere il Governo Monti che non peraltro fa, con tutta evidenza, una politica di centro sinistra. Non credo si possa cercare in una coalizione che comunque rispecchia la attuale frammentazione dell’offerta politica, una compattezza granitica. Sarebbe preferibile una piattaforma semplice ma chiara,nella quale trovino posto pochi punti fondamentali vincolanti per tutti e poiuno spazio che sarà inevitabilmente affidato al dibattito parlamentare, nel quale andranno individuate di volta in volta le necessarie mediazioni che il vincolo di coalizione dovrà suggerire.
Trovo sbagliata in questa prospettiva la drammatizzazione del referendum sull’art.18. Personalmente preferirei, come la maggioranza della Cgil, la via parlamentare, proprio perché non va migliorata solo quella norma ma va corretto tutto un impianto che si lega nei suoi vari capitoli, e che già oggi non risponde più ai problemi che dovrebbe affrontare. Ma non posso che comprendere la scelta di lavoratori e cittadini che firmeranno proprio per cercare di uscire da una situazione nella quale la politica sembra sorda e cieca, come nel caso della legge elettorale. Facciano una riflessione su questo tema i sedicenti custodi dell’ortodossia.
Franco Belci, segretario generale Cgil Fvg