Quella sicurezza di cui il Governo non parla

di Franco Belci, segretario generale Cgil Fvg
«I contatti quotidiani che le nostre strutture hanno con migliaia di iscritti fanno emergere preoccupazioni concrete sul tema della sicurezza. Le iniziative che esse hanno organizzato assieme al Sindacato di polizia rendono evidente quanto incidano sulla qualità della vita degli anziani microcriminalità, scippi, furti, truffe. Incrociamo sempre più spesso il tema odioso della violenza che colpisce le donne e con sempre maggior frequenza investe gli ambiti familiari. Ci confrontiamo con le preoccupazioni di genitori, studenti e insegnanti che avvertono l’estendersi dello spaccio della droga che investe scuole, parchi e luoghi pubblici nei quali i giovani sono pericolosamente esposti. C’è un allarme diffuso per gli aspetti sempre più sopraffattori e violenti che va assumendo il fenomeno del bullismo.
Il radicamento dei fenomeni è ovviamente diverso da luogo in luogo, ma, in linea generale l’intensità degli stessi è direttamente proporzionale al degrado territoriale e alla marginalità sociale e inversamente proporzionale alla presenza di reti di relazioni, a politiche di coesione messe in campo dalle istituzioni, alla presenza del volontariato e delle organizzazioni sociali. Insomma, è indispensabile una articolata politica di prevenzione che preceda e affianchi quella repressiva.
Ma tra i nostri iscritti altrettanto percepiti sono altri due tipi di rischio: quello che deriva dalla propria attività lavorativa e quello (riguarda soprattutto gli anziani) che deriva dalla esposizione al rischio di incidenti stradali. Del resto all’inizio del mese un’indagine del Censis ha attestato che nel 2006 le morti per omicidio in Italia sono state 663 (gli altri Paesi europei hanno un numero assoluto ben superiore), mentre quelle direttamente sul lavoro o per spostamenti relativi ad esso sono state 1170: quasi il doppio per un Paese che in Europa detiene questo triste primato. Siamo “maglia nera” anche per quel che riguarda i decessi per incidenti stradali: 5.699. Qualcuno ha cercato di camuffare l’evidenza dei dati, ma è difficile negare l’evidenza. Creano insicurezza quegli imprenditori pronti a contestare l’inasprimento dei controlli e delle sanzioni, restii a discutere su quanto influiscano sugli incidenti e le malattie professionali l’organizzazione del lavoro, i ritmi del processo produttivo, l’ uso massiccio degli straordinari, l’utilizzazione sempre più estesa del lavoro precario. E quanto influisca la frammentazione della produzione in catene al cui fondo nessuno conosce più l’inizio e la fine, perdendo consapevolezza del proprio ruolo e ragione del processo produttivo stesso.
Crea insicurezza il nostro sistema dei trasporti e delle comunicazioni, quello di controllo e quello sanzionatorio, le nostre politiche urbanistiche e territoriali, la nostra cultura del muoversi. I tanti morti dell’A4 non sono frutto solo del caso. Occorre perciò affidarci all’oggettività dei dati per recuperare una dimensione complessiva del problema sicurezza. Non voglio con questo sostenere che le emergenze citate all’inizio non siano reali, ma che se si vuole affrontare sul serio il problema sicurezza in tutte le sue sfaccettature, è indispensabile progettare una politica a tutto campo, che cerchi un equilibrio tra qualità e quantità dei problemi e risorse che  vi vengono destinate. Da questo punto di vista non possiamo fare a meno di rilevare che la nostra Regione, seconda in Italia per incidenti sul lavoro, è molto distratta di fronte alla necessità  di accelerare il percorso di attuazione del testo unico sulla sicurezza sul lavoro varato dal Governo Prodi e non destina un cent alle strutture delle Asl che si trovano in una situazione di grave difficoltà.
Evidentemente si preferisce dare risposte a quel tipo di richiesta di sicurezza che “paga” di più sul conto del consenso impiegando 16 milioni di euro per l’installazione nei Comuni di strumenti di videosorveglianza, per il potenziamento dell’illuminazione pubblica, per la formazione di “nuovi volontari”. Purtroppo le morti sul lavoro avvengono lontano dalla luce dei riflettori e non sono evitabili con la videosorveglianza. Ma meritano un’intensa attività di prevenzione, un aumento degli interventi ispettivi, la progettazione di azioni coordinate per le quali servono idee e risorse. Non vorremmo sentire, al prossimo incidente, quello che ci è stato detto quando abbiamo bloccato il Porto di Trieste: che cioè lo sciopero andava revocato perché i danni per le imprese erano insostenibili. Meglio che lo si sappia fin da ora.