Sindacati e rappresentatività: problema reale, ma occhio ai numeri!
Che anche i sindacati soffrano di un calo di rappresentatività, come i partiti politici, è fuori di dubbio. Ed è vero che dietro a questo calo c’è anche – ma non solo – una crisi che li colpisce in termini sia quantitativi, riducendo la platea degli iscritti, sia qualitativi, influendo negativamente sui risultati dell’azione sindacale e quindi anche sulla percezione che di questa hanno gli iscritti e l’opinione pubblica.
Da tempo ci interroghiamo su come invertire questa tendenza e come rafforzare la nostra capacità di rappresentanza in un contesto che cambia e che, per i livelli crescenti di precarietà e frammentarietà del lavoro, ci rende oggettivamente più difficile raggiungere e tutelare molti lavoratori. Il tema è complesso, e si intreccia con una riflessione profonda sul nostro ruolo, che non è soltanto di rappresentanza, ma anche di servizio, come dimostrano le file di utenti, iscritti e non, dei nostri Caaf, dei patronati, degli sportelli immigrati o dei sindacati degli inquilini.
Se l’indagine di Community evidenzia un problema reale, a non convincerci sono i numeri snocciolati da Marini. Il campione di 1.653 intervistati che hanno risposto al sondaggio di Community è costituito per una larga maggioranza da veneti (per constatarlo basta confrontare i risultati generali dell’indagine con quelli parziali del Veneto): se dal Fvg sono arrivate non più del 10% delle risposte all’indagine, come ci sembra realistico stimare (o sovrastimare), un campione (peraltro casuale) di 150 persone è davvero troppo ristretto per essere considerato attendibile. Prima di pensare alla rappresentatività dei sindacati, quindi, bisognerebbe riflettere sulla rappresentatività degli intervistati. Ed evitare conclusioni frettolose come quella secondo la quale solo il 2,4% dei nostri corregionali considera utile il sindacato: se solo uno su 40 ritiene utile il sindacato, bisognerebbe infatti spiegare perché solo le sigle confederali (senza considerare quindi i sindacati autonomi) contano nella nostra regione 115 mila iscritti tra i lavoratori attvi, circa il 30% della platea dei dipendenti in Fvg.
Quasi un lavoratore su 3, quindi, che ci chiede di rinnovare i contratti, di difendere il proprio posto, di contrattare sugli ammortizzatori, di svolgere un’azione sia sul territorio che a livello nazionale, coniugando gli interessi generali e la nostra impostazione confederale con le esigenze delle categorie, di ogni singolo lavoratore e ogni singola azienda. Un compito difficile ma che dobbiamo continuare a svolgere, rinnovandoci per migliorare la nostra capacità di risposta ai tanti che rappresentiamo e per riuscire ad essere maggiormente presenti e radicati anche tra i giovani, nella giungla delle partite Iva, del lavoro discontinuo, di un precariato che il jobs act non basterà sicuramente a debellare.
Franco Belci, segretario generale Cgil Fvg
Da tempo ci interroghiamo su come invertire questa tendenza e come rafforzare la nostra capacità di rappresentanza in un contesto che cambia e che, per i livelli crescenti di precarietà e frammentarietà del lavoro, ci rende oggettivamente più difficile raggiungere e tutelare molti lavoratori. Il tema è complesso, e si intreccia con una riflessione profonda sul nostro ruolo, che non è soltanto di rappresentanza, ma anche di servizio, come dimostrano le file di utenti, iscritti e non, dei nostri Caaf, dei patronati, degli sportelli immigrati o dei sindacati degli inquilini.
Se l’indagine di Community evidenzia un problema reale, a non convincerci sono i numeri snocciolati da Marini. Il campione di 1.653 intervistati che hanno risposto al sondaggio di Community è costituito per una larga maggioranza da veneti (per constatarlo basta confrontare i risultati generali dell’indagine con quelli parziali del Veneto): se dal Fvg sono arrivate non più del 10% delle risposte all’indagine, come ci sembra realistico stimare (o sovrastimare), un campione (peraltro casuale) di 150 persone è davvero troppo ristretto per essere considerato attendibile. Prima di pensare alla rappresentatività dei sindacati, quindi, bisognerebbe riflettere sulla rappresentatività degli intervistati. Ed evitare conclusioni frettolose come quella secondo la quale solo il 2,4% dei nostri corregionali considera utile il sindacato: se solo uno su 40 ritiene utile il sindacato, bisognerebbe infatti spiegare perché solo le sigle confederali (senza considerare quindi i sindacati autonomi) contano nella nostra regione 115 mila iscritti tra i lavoratori attvi, circa il 30% della platea dei dipendenti in Fvg.
Quasi un lavoratore su 3, quindi, che ci chiede di rinnovare i contratti, di difendere il proprio posto, di contrattare sugli ammortizzatori, di svolgere un’azione sia sul territorio che a livello nazionale, coniugando gli interessi generali e la nostra impostazione confederale con le esigenze delle categorie, di ogni singolo lavoratore e ogni singola azienda. Un compito difficile ma che dobbiamo continuare a svolgere, rinnovandoci per migliorare la nostra capacità di risposta ai tanti che rappresentiamo e per riuscire ad essere maggiormente presenti e radicati anche tra i giovani, nella giungla delle partite Iva, del lavoro discontinuo, di un precariato che il jobs act non basterà sicuramente a debellare.
Franco Belci, segretario generale Cgil Fvg