Violenza sulle donne, un taglio al silenzio

La violenza sulle donne è un fenomeno che si sta amplificando. Rappresenta la prima causa di morte e invalidità per le donne tra i 16 e i 64 anni. Questo il dato preoccupante da cui ha preso le mosse la tavola rotonda promossa questa mattina da Cgil, Cisl e Uil nella sala della Gran Loggia a Palmanova per riflettere sull’interrogativo “perché tanta violenza sulle donne?” e per rompere il muro del silenzio che spesso avvolge il fenomeno. 
«L’incontro di oggi – esordisce per Cgil, Cisl, Uil, Claudia Sacilottto – ha l’obiettivo di stimolare tutti a sentirsi coinvolti nella tragicità della violenza contro le donne, per non restarne assuefatti. Ma attenzione -incalza Sacilotto – non siamo di fronte ad un problema di donne, ma semmai ad un problema collettivo, sociale, che investe tutti e ci chiama alla responsabilità». Per questo anche il Sindacato non può restare a guardare. Di qui il Protocollo siglato nel 2014 da Cgil, Cisl, Uil del Friuli Venezia Giulia e la sottoscrizione, a livello nazionale, tra le organizzazioni sindacali e Confindustria dell’Accordo quadro sulle molestie e la violenza nei luoghi di lavoro, con l’impegno a declinarlo anche localmente attraverso la contrattazione di secondo livello. 
«E’ indispensabile – prosegue la sindacalista cislina – lavorare su nuove e diverse strategie educative, partendo dalla scuola, ma anche dalla famiglia, istituzioni che devono insegnare anche la fiducia e la consapevolezza in se stessi perché non ci siano più vittime delle violenze e degli abusi di potere dei Weinstein di turno; e aiutare con determinazione, e senza giudicare, le donne vittima di violenza a denunciare e ad uscire dal silenzio». Allo stesso modo – e il pensiero corre alla recente sentenza del Tribunale di Torino sullo stalking – i processi dovrebbero essere rapidi e le pene “educative”: il pronunciamento di Torino è inaccettabile e lascia basiti, «per noi lo stalking è grave a prescindere e certo tale reato non può essere monetizzabile».  
Infine, Cgil, Cisl, Uil non possono non porre l’accento sul lavoro, come leva per sottrarsi alla violenza. «Bene i provvedimenti del jobs act per le donne vittime di violenza, che devono però andare a sommarsi agli interventi di re-inserimento socio-lavorativo, necessari per garantire indipendenza economia ed autonomia».
I numeri della violenza  ( indagine Istat)
· quasi 7milioni di donne, nel corso della loro vita hanno subìto violenza fisica o sessuale; 
· più di 3milioni sono state vittime di comportamenti persecutori come, ad esempio lo stalking, dato che purtroppo è in costante aumento???
· 1,4 milioni hanno subìto molestie o ricatti sul lavoro;
· 157 femminicidi nel 2012; 179 nel 2013, 149 nel 2016 e 114 finora nel 2017, il ché significa 1 donna uccisa,  ogni 2 ½  giorni???
· più dell’82% dei delitti commessi a scapito di una donna, nel nostro Paese, sono classificati come femminicidi, cioè l’uccisione di donna con la quale si hanno o si hanno avuti legami sentimentali o sessuali. Un numero gigantesco: oltre 4 su 5.
Gli autori di femminicidi nella maggior parte dei casi hanno una fascia di età compresa tra i 31 e i 40 anni, seguita da quella tra i 41 e i 50.  Le vittime invece sono più giovani: a morire per mano dei propri compagni sono per lo più ragazze tra i 18 e i 30 anni, anche se sono in aumento quelli verso donne di età compresa tra i 71 e gli 80 anni. Nella maggioranza dei casi la vittima è italiana; solo nel 22% dei casi è straniera. Lo stesso dato emerge per quanto riguarda il carnefice che per il 74,5% degli assassini hanno nazionalità italiana. Il rapporto che lega la vittima e il suo carnefice è nel 55,8% dei casi di natura sentimentale, con una relazione in atto al momento dell’omicidio o pregressa. Il 63,8% evidenzia che la vittima e l’autore sono coniugi o conviventi, il 12% fidanzati e il 24% aveva intrattenuto una relazione sentimentale (matrimonio o fidanzamento) terminata prima dell’omicidio. Si riscontra una forte difficoltà nella denuncia della violenza subìta dal partner, infatti nel  96% dei casi  non viene denunciata.
«I dati numerici ci dicono che l’occupazione femminile è salita nonostante la crisi, con 2mila occupate in più rispetto al 2008, e che è cresciute anche la propensione a cercare lavoro. L’analisi qualitativa, però, ci dice che le donne continuano a subire una forte segregazione sia in senso verticale, con un difficile accesso alle posizioni apicali e di responsabilità, sia orizzontale, essendo confinate in lavori e comparti più “poveri”, come gli appalti di pulizie e l’assistenza, più soggette a impieghi precari, peraltro in crescita anche tra gli uomini, spesso costrette a part-time forzato e orari disagiati». Questa l’analisi di Orietta Olivo, responsabile lavoro, welfare e pari opportunità della Cgil regionale, che ha ribadito come il “gender gap” sul lavoro resti una delle principali cause di discriminazione e anche, indirettamente o direttamente, di violenza sulle donne. «Perché un lavoro povero o precario – spiega Olivo – rende la donna più debole e più ricattabile».
«La violenza non è un male delle donne, è un male della società», rimarca con forza in chiusura dei lavori la segretaria regionale della Uil del Friuli Venezia Giulia Magda Gruarin, tirando le fila degli interventi di ospiti ed esperti che hanno animato il dibattito e portando la recente esperienza vissuta il 25 novembre in un’aula di Montecitorio gremita da 1400 donne che, nell’ambito dell’iniziativa promossa dalla Presidente della Camera Laura Boldrini, hanno avuto il coraggio di far sentire la propria voce e raccontare le proprie testimonianze di vittime di femminicidio. «Le testimonianze sono state commoventi – testimonia – perché insieme al bagaglio di sofferenze hanno denunciato con forza l’inadeguatezza delle istituzioni nell’affrontare e fare realmente giustizia».  
“La violenza si può fermare nominando, raccontando, denunciando e, nel contempo, costruendo reti di solidarietà. Dobbiamo essere combattive – esorta Gruarin – ma è importante cominciare a guardare le violenze come una degenerazione di questa società. Dobbiamo porre tenace resistenza a questa società di disvalori. La “gentilezza” dovrebbe essere introdotta nei programmi scolastici perché la conoscenza, il successo scolastico e quello personale, se non sono accompagnati dalla gentilezza, possono essere utilizzati facilmente al servizio della crudeltà».